Sentenza n. 102 del 1972

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 SENTENZA N. 102

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 633, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 31 marzo 1970 dal pretore di Voltri sull'incidente d’esecuzione proposto da Orlandi Mauro, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 143 del 10 giugno 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1972 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Orlandi Mauro, condannato alla pena di nove mesi di reclusione, nonché al pagamento della multa di lire 30.000, ed assegnato, in quanto dichiarato delinquente abituale, ad una casa di lavoro per un periodo di tempo non inferiore a due anni, con ricorso 3 dicembre 1969, proponeva incidente di esecuzione, assumendo che, quantunque avesse compiuta l'espiazione della pena detentiva dal 20 novembre 1969, nondimeno veniva trattenuto nelle carceri giudiziarie di Novi Ligure in attesa del trasferimento nell'apposito istituto per l'esecuzione della misura di sicurezza.

Deduceva, quindi, l'illegittimità, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, delle norme che, disciplinando l'esecuzione delle misure di sicurezza dopo l'espiazione della pena (articoli 212, 213 cod. pen., e 633 cod. proc. pen.), consentono che il condannato venga trattenuto nello stabilimento carcerario a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza, sino a quando questa non provveda alla traduzione e all'internamento nell'istituto designato dal Ministero di grazia e giustizia (art. 266 del Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena approvato con il r.d. 18 giugno 1931, n. 787).

In pendenza dell'incidente di esecuzione, il 4 dicembre 1969, il condannato veniva avviato alla Casa di lavoro di Saliceto S. Giuliano.

Il pretore di Voltri, pronunziando quale giudice dell'esecuzione predetta, con ordinanza 31 marzo 1970, ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 633, terzo comma, del codice di procedura penale, "in relazione all'art. 266, secondo comma, seconda parte, del Regolamento carcerario sopra citato, con riferimento all'art. 13 della Costituzione".

Ha rilevato che "dal combinato disposto delle norme impugnate emerge che il condannato possa essere trattenuto nello stabilimento carcerario a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza, in pratica senza limite di tempo, fino a quando questa non provveda all'internamento. Orbene, pur considerato il fatto che il tempo trascorso in carcere dopo l'espiazione della pena viene computato nel periodo minimo di internamento, non può escludersi che da ciò derivi pregiudizio alla libertà personale del soggetto, attesa la diversità di trattamento inerente ai due tipi di misure. Ogni ritardo frapposto all'internamento per misura di sicurezza costituisce, quindi, una forma di restrizione della libertà personale che non trova fondamento in un atto dell'autorità giudiziaria, e che anzi implicitamente la esclude".

Davanti a questa Corte, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata, rilevando che essa deve essere esaminata con riguardo soltanto all'art. 633 c.p.p., dato che non può ritenersi ammissibile il sindacato di questa Corte sulla disposizione dell'articolo 266 del citato decreto n. 787 del 1931, avente natura regolamentare. E mentre per questa disposizione deve essere escluso ogni collegamento, dal pretore neppure dimostrato e motivato, con la norma del codice di procedura penale espressamente impugnata, in quest'ultima, singolarmente esaminata, non si rinviene alcuna violazione del precetto dell'art. 13 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza del pretore di Voltri, nel corso di un incidente di esecuzione diretto a contestare la legittimità dell’ulteriore reclusione del condannato, decorso il termine di espiazione della pena e in attesa di internamento in casa di lavoro per misura di sicurezza, é sollevata la questione di costituzionalità, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, dell'art. 633, terzo comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 266 del Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena (approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 787).

Il suddetto art. 633 c.p.p. disciplina gli atti iniziali dell'esecuzione delle misure di sicurezza detentive e stabilisce nei commi primo e secondo che il pretore o il pubblico ministero, quali organi cui, nell'ambito delle rispettive competenze, spetta promuovere l'esecuzione delle sentenze di condanna o di proscioglimento o degli altri provvedimenti che dispongono una misura di sicurezza, sia provvisoria che definitiva, dopo aver comunicato copia dei provvedimenti medesimi all'autorità di pubblica sicurezza, emettono, ove sia necessario, ordine di consegna del condannato o del prosciolto all'Autorità predetta. "Questa", dispone l'impugnato terzo comma, "quando occorre, procede all'arresto o provvede all'internamento della persona da sottoporre a misura di sicurezza".

D'altro canto il precitato art. 266 del Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena, disciplinando le attribuzioni esclusivamente riservate al Ministero di grazia e giustizia in materia di assegnazioni degli internati ai vari stabilimenti, prescrive nel comma primo che il pubblico ministero o il pretore, nel richiedere l'autorità di pubblica sicurezza ai sensi degli artt. 633 e 634 c.p.p., informa il Ministero, onde provveda all'assegnazione suddetta, e, se si tratta di persona già detenuta, ne dà avviso al direttore dello stabilimento in cui essa si trova.

Per il comma secondo spetta poi al Ministero di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza a quale stabilimento é stata assegnata la detta persona perché provveda all'internamento di essa. "Il detenuto (secondo l'ultima parte del comma secondo) é trattenuto nello stabilimento a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza".

Orbene il giudice a quo, collegando quest'ultima norma con l'altra riportata nel terzo comma dell'art. 633, afferma la non manifesta infondatezza della questione in quanto, come testualmente si esprime, dal combinato disposto delle due norme impugnate, di cui solo la prima ha forza di legge, emerge con chiarezza che il condannato il quale, scontata la pena in carcere, debba iniziare un periodo di internamento per misura di sicurezza detentiva, può essere ulteriormente trattenuto nello stabilimento carcerario a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza, in pratica senza limite di tempo, fino a quando questa non provveda all'internamento.

Il che comporterebbe il protrarsi di un trattamento di detenzione avente modalità diverse e più gravose di quelle proprie del regime di internamento per misura di sicurezza; situazione restrittiva della libertà personale che non sarebbe fondata su un provvedimento dell'autorità giudiziaria.

La questione non é fondata.

2. - Secondo la prospettazione dell'ordinanza la legittimità dell'art. 633, terzo comma, del c.p.p. é posta in dubbio sul presupposto che ne venga integrata la disposizione con la norma regolamentare che risulta dettata dal Governo, con il procedimento e con la forma propria della normazione secondaria regolamentare, di cui all'art. 1 della legge n. 100 del 1926, (sent. n. 40 del 1970; 72 e 91 del 1968 di questa Corte), al fine di stabilire le concrete modalità esecutive del trasferimento del condannato dall'istituto di pena ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola.

Ma dalla stessa prospettazione risulta chiaramente il vizio che ne inficia la correttezza logico-giuridica.

É principio generale, infatti, non essere consentito all'interprete di identificare il contenuto di una norma di legge sulla scorta di disposizioni aventi, secondo la gerarchia delle fonti del diritto positivo (art. 1 Disp. sulla legge in generale), valore inferiore e secondario; disposizioni, cioé, che non possono contenere norme contrastanti con quelle della legge (art. 4, primo comma, Disp. cit.).

Al contrario, alla legge devesi riconoscere, nell'ordinamento, posizione gerarchica e funzione prevalente, che la pone quale dato inderogabile di raffronto ai fini della conformità ad essa della norma regolamentare.

É perciò da escludersi il giudizio sulla costituzionalità della legge per un’asserita illegittimità del contenuto della norma regolamentare, anche se emanata per l'esecuzione della legge medesima.

Orbene, limitando l'esame al solo comma terzo dell'articolo 633 c.p.p., in relazione al quale lo stesso giudice a quo non ha enunciato autonome censure, é evidente che questa norma, nella genericità della sua formulazione, non risulta in contrasto col precetto costituzionale dell'art. 13. E ciò in quanto ne esula il significato che, come si é rilevato, si pretende desumere dalla connessione, erroneamente supposta, con la norma di cui all'art. 266, secondo comma, seconda parte, del citato Regolamento; il significato cioé che, se la persona sottoposta a misura di sicurezza preventiva sia già detenuta in espiazione di pena in uno stabilimento ordinario, vi debba rimanere, anche a pena espiata, fin quando l'autorità di pubblica sicurezza non la prelevi per l'internamento altrove.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 633, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, dal pretore di Voltri, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Nicola REALE

Depositata in cancelleria il 15 giugno 1972.